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Fragilità e disabilità a contatto con lo sport

inclusione attraverso lo sport

Attraverso il progetto Sportivamente lavoriamo per permettere a bambini con disabilità o fragilità di vivere esperienze positive e inclusive attraverso la pratica sportiva.

Ma facciamo un po’ di ordine. Cosa vuol dire disabilità? Che cosa si intende quando si parla di fragilità? Come si lavora nel concreto con bambini con disabilità o fragilità? 

Per rispondere a queste domande (solo in apparenza semplici) abbiamo chiesto a Eleonora Grondona, legale rappresentante della nostra Associazione di Promozione Sociale, che da anni all’interno dell’associazione si dedica alla disabilità, avendo una grossa esperienza e competenza sul campo.

Nell’ambito della disabilità ci sono differenti filoni che richiedono necessariamente approcci differenti.

Si può andare dalla disabilità fisica con impedimenti motori più o meno gravi, alle disabilità cognitive (che comportano ritardo nello sviluppo psico-motorio) e comportamentali (è colpita la sfera che riguarda la gestione delle emozioni e del sentire; in questo ambito possono esserci problematiche più lievi o sindromi più definite) fino a tutte le patologie che rientrano nello spettro dell’autismo con cui si va ad agire di conseguenza.

Ciò che accomuna trasversalmente il mondo della disabilità è che esiste una certificazione con una diagnosi precisa, e a partire da questa diagnosi si imposta tutto il lavoro, pensando percorsi idonei alle reali problematiche di ogni singolo bambino.

In genere ci si trova sempre a doversi confrontare con qualche impedimento di tipo motorio: il lavoraro attraverso lo sport aiuta e coadiuva il percorso mirato al benessere.

In linea generale, avendo una diagnosi precisa si sa bene in quale direzione muoversi.

Diverso, invece, è il grande “calderone” della fragilità. Non c’è una definizione univoca del concetto di fragilità e si toccano ambiti tra loro molto differenti. Non ci sono certificazioni o diagnosi e le fragilità, che sono molte e tra di loro alquanto diverse, hanno in se tantissime sfumature.

Quindi per forza di cose si tratta di un contesto più ampio e variegato.

Col termine fragilità si può parlare di minori allontanati dalle famiglie che vivono in comunità protette, di emarginalità, di povertà dovuta a fattori diversi (famiglie al limite e sotto il limite, bambini e ragazzi che non vanno a scuola perchèi genitori non sono in grado di portarli, famiglie che non arrivano a fine mese…), o ancora di bambini stranieri di seconda generazione, nati in Italia da famiglie con altra origine o nati nel paese d’ origine delle famiglie e trasferiti a Milano in un secondo momento senza però conoscere la lingua.

C’è inoltre il grande filone dei bambini che hanno effettive problematiche che però non sono state ancora certificate, e quindi rimangono in una zona d’ombra, esclusi dalla possibilità di accedere ai servizi e all’interno di infinite liste d’attesa che comportano immobilità e perdita di tempo.

In tutti questi casi si possono riscontrare problematiche legate all’inserimento. In generale si può dire che la linea che accomuna tutte le fragilità è quella che i bambini non vivono un rapporto sano con i prorpi pari.

Spesso molti di questi bambini si trovano a lavorare in rapporto 1:1 con adulti (con insegnanti di sostegno, logopedisti, con professionisti di vario tipo…) ma le difficoltà più grandi si trovano nel rapoortarsi con i propri pari. Quando si trovano tra pari si trovano sempre ad essere “diversi”.

Il fatto di fare attività sportive con bambini coetanei, instaurando un rapporto tra pari in un contesto che non è né di cura né scolastico ha in se un grandissimo valore.

ll setting specifico dell’ attività sportiva diventa un contesto sano tra pari in cui si può  lavorare insieme.

Per i bambini più piccoli si parla di gioco attraverso lo sport, mentre per i bambini dai 6 anni in su si parla di vera e propria attività sportiva, con principi educativi e pedagogigi che permettono di poter lavorare sulla sfera emotiva-relazionare in un modo meno stressante e senza la pressione della performance.

Nei nostri corsi, infatti, non è richiesta nessuna performance, non si esige nessuna vittoria. I bambini arrivano gradualmente a svolgere gare e saggi, imparando e acquisendo non solo la tecnica ma anche un equilibrio sia emotivo che mentale che permetta di gestire anche eventuali sconfitte o di controllare l’emozione.

Con le fragilità si lavora ad ampio raggio: dove c’è qualcosa (diagnosticato o meno) che dal punto di vista psico-fisico dello sviluppo del ragazzo comporta dei nei, delle zone d’ombra, si va a intervenire attraverso la prativa sportiva.

Per fare alcuni esempi concreti: spesso ci si trova di fronte a bambini che hanno problematiche legate alla concentrazione: durante la pratica sportiva c’è un attività di ascolto, poi un momento di messa in pratica: questo comporta lo sviluppo dell’ attenzione, della concentrazione, un momento di rielaborazione, e uno in cui si lavora sul coordinamento.

Questo è un esempio base che ovviamente nel concreto varia da caso a caso.

Ci sono alcuni bambini con autismo con cui si lavora con obiettivi diversi: la pratica sportiva è un di più, se si riesce a raggiungere il fatto che un bambino partecipi attivamente è un risultato enorme. L’obiettivo principale su cui si lavora è quello di stare in mezzo al gruppo. I micro obiettivi proporzionati alla situazione di partenza sono lo strumento per poter raggiungere l’ obiettivo più grande dell’inserimento intero (sempre a seconda dei livelli di compromissione).

In questo momento mi viene in mente un ragazzo che frequenta uno dei nostri corsi da molti anni: lui ha un adisabilità cognitiva con ritardo abbastanza importante e certificata: fare sport è per lui un momento di estrema felicità e gioia, perchè è riuscito a instaurare relazioni positive e di amicizia con i propri compagni!

Altri esempi molto frequenti: ci capita spesso di lavorare con bambini inviati dalle uonpia (unità di neuropsichiatria infantile): in questi casi i bambini presentano frequentemente una compromissione emotiva: per loro è importante imparare a stare in un gruppo. Le regole che si imparano quando si frequenta un corso sportivo non sono quelle di casa o di scuola ma sono gli insegnamenti del maestro e si imparano insieme al gruppo.

Inoltre attraverso lo sport si può imparare a  gestirela rabbia, l’emozione del pianto: il maestro può aiutare a incanalarle nella tecnica sportiva. Imparare a rapportarsi con i pari nel modo corretto senza evitare ogni forma di eccesso diventa quindi una conquista importante e raggiungibile.

Se la mission generale dei progetti Together now è quella di lavorare sull’ inclusione e sull’ integrazione, uno dei passaggi obbligati di tale percorso è quello di scegliere il canale più adatto alle problematiche specifiche del singolo bambino. Le varie discipline e i vari insegnanti sono tutti diversi tra loro e quindi bisogna calibrare bene scelta.

Solo riflettendo su  quale disciplina sia più adatta per lavorare su determinati punti si può essere davvero di supporto ai bambini e, attraverso lo sport, si riesce a sostenerli anche in altri ambiti della loro vita (ad esempio a scuola e in generale nelle relazioni tra i pari).

 

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