Una città paludosa, magazzini in successione, carrozze riservate a Ministri o Deputati, numerosi ambulanti di frutta nei pressi dei ponti. Il palazzo Lekey era il solo stabile su due piani in un quartiere che vendeva prodotti alimentari europei; tutte le costruzione erano in legno e, al fondo del quartiere Suda-cho, una barriera di salici, in caso di incendio.
Infine si scorgeva il ponte di Megane “Ponte degli Occhiali”, una delle nuove zone di Tokyo. Davanti al negozio Echigoya un pannello pubblicitario di tela. Le voci degli impiegati attiravano l’attenzione dei passanti con appelli cantati.
Alla sera un uomo accendeva uno ad uno i lampioni a petrolio.
Le librerie avevano tutte un nome che ricordava il periodo feudale, come ad esempio Maruya Zembei (l’attuale Maruzen, una delle più importanti in Giappone).
Alla sera, la gente riempiva i piccoli ristoranti all’aperto dove poteva gustare pesce crudo, zuppe dolci ai fagioli, sake caldo, dolci, zuppe ai ravioli, ecc.
A Kandaawajicho, Nakagawa (il ristorante Tagawa del romanzo Sugata Sanshiro) era uno dei ristoranti più rinomati, soprattutto per la sua carne di manzo; è in questo periodo che tutti iniziano a consumare carne.
Una sola linea ferroviaria unisce Tokyo centro (Shinbashi) a Yokohama; l’anno successivo viene inaugurata la nuova linea tra Tokyo centro e Kumagaya, 50 km circa a nord di Tokyo. Il locomotore del tipo Benkei (tuttora esposto al Museo delle Ferrovie di Tokyo), trainava dei vagoni più piccoli degli attuali autobus che vibravano tanto da rendere il trasferimento ai passeggeri alquanto difficile…
Strade piccole (la più importante arrivava ai 6 metri di larghezza); pedoni, riksciò, carri a cavalli avanzavano alla rinfusa con inevitabili rischi e disagi. La città comprendeva numerosi boschi e colline, tanto che la notte si potevano vedere passare per la strada volpi o tassi.
La regione di Tokyo abbastanza estesa, era divisa in cinque circoscrizioni: Asakusa, Shitaya, Kanda, Kyobashi e Nihinbashi. Erano più cittadine a sé, quartieri animati e indipendenti, collegati da strade buie e deserte.
Ryogokubashi, Eitaibashi e Azumabashi erano gli unici tre ponti sul fiume Sumida, la maggior parte del tempo chiusi perchè in riparazione; per trasferirsi sull’altra sponda, si poteva utilizzare una delle chiatte che si trovavano lungo il fiume.
Come mezzi di trasporto si potevano utilizzare i battelli da 1 yen (sul Sumida), vecchi omnibus (poi vietati per il pericolo rappresentato per i passeggeri, avendo un centro di gravità troppo alto e, di conseguenza, ribaltandosi spesso) ed i riksciò, il più importante mezzo di trasporto, per una o due persone.
L’andatura veloce e lo stato delle strade poteva essere traumatico per l’equilibrio dei trasportati (!); ed è per ciò che un medico, indicando i metodi per la prevenzione di possibili danni dichiarò che l’andatura dovesse essere tale che il bianco ed il rosso di un uovo, portato in tasca di un passeggero, non si mischiassero.
Condurre un riksciò, significava incorrere in un grosso rischio: era frequente che questi “corridori” morissero in giovane età per crisi cardiaca.
Il Kodokan
5 giugno 1882 Tsunejiro Tomita, diciassettenne, è il primo iscritto nel registro del Judo Kodokan, che, secondo la tradizione del Ju-jutsu, veniva firmato col sangue.
Seguono, entro l’anno, le firme di Seiko Higuchi, Tamakichi Nakajima, Noribumi Arima, Toraoro Matsuoka, Norimi Arima, Shiro Saigo (quattordicenne), Kenjiro Amano e Kajiro Kwai.
Tale registro fu istituito nel 1884 e comprendeva cinque regole che venivano sottoscritte con la firma:
1. Una volta ammesso all’Istituzione per lo studio del Judo, non cesserò mai la pratica senza un ragionevole motivo.
2. Non disonerò mai la reputazione del mio dojo con la mia condotta.
3. Non divulgherò mai i segreti che mi saranno insegnati e non andrò a studiare Judo altrove senza autorizzazione.
4. Non insegnerò mai Judo senza autorizzazione.
5. Osserverò ogni regola del Kodokan non solamente durante i miei studi al Kodokan ma anche dopo essermi dedicato all’insegnamento del Judo.
Da jutsu a do
La scelta del nome non fu casuale: Kano aveva modificato profondamente il Ju-jutsu e, soprattutto, la sua disciplina aveva un preciso scopo morale educativo che il Ju-jutsu non aveva più.
Il Ju-jutsu era screditato, considerato nocivo per l’educazione e privo di qualsiasi contenuto morale; era concepito solo per ottenere la vittoria, non per l’educazione fisico-morale.
Egli doveva dunque rendere attuale questa disciplina, in considerazione delle nuove tendenze occidentaliste del Giappone (l’Imperatore Mutsuhito introdusse in Giappone scienze, arti e tecniche europee), fornendo un metodo valido sia come educazione, sia per vincere in combattimento.
Abbandonò le tecniche pericolose mantenendo comunque le più efficaci e razionali, perfezionò le tecniche di proiezione, inserendone delle nuove, studiò un metodo per “rompere le cadute” in modo da evitare danni al fisico nelle proiezioni al suolo, modificò l’abito per la pratica, poiché quello impiegato nel Ju-jutsu causava troppi incidenti.
Chiamare questa disciplina Ju-jutsu non le avrebbe dato il giusto prestigio, poiché rischiava di confondersi tra le altre; doveva essere evidente il salto qualitativo.
Tuttavia, derivando dalle antiche scuole, non poteva assumere un nome totalmente nuovo.
Considerando quindi che la sua disciplina era Jutsu (“arte” o “pratica”), ma soprattutto era Do (“via”, “principio”), ed era questa la sua caratteristica principale, decise di chiamarlo Judo, nome adottato in passato solo dalla Jikishin-ryu, e pertanto termine poco noto.
È in questo periodo infatti che il passaggio da Bu-jutsu a Bu-do è maggiormente evidente; sono molte le scuole come Kyu-jutsu, Iai-jutsu, Aiki-jutsu che divengono Kyu-do, Iai-do e Aiki-do.
Una grande difficoltà per Kano fu combattere la nuova corrente, la mentalità comune che si stava allontanando dalle tradizioni, dallo spirito tradizionale del Bushido, verso le novità occidentali.
“Kano ha 24 anni ma il suo maturo carattere è quello di un grande uomo. In lui trovo un solo difetto: il gusto per il Ju-jutsu.” questa frase dell’Abate del tempio di Eisho-ji, è un sintomo di questa nuova tendenza.
I primi anni del Kodokan
Agli inizi, i primi nove iscritti, praticavano su 12 tatami per un totale di 20 m2; l’anno successivo, il Kodokan vantava un dojo da 10 tatami e nel 1884, a Kami-nibancho, i tatami coprivano 40 m2 (20 tatami).
È circa in questo periodo che gli allievi del Kodokan erano divisi in tre gruppi:
1. gli esterni;
2. gli interni che potremmo definire amatori;
3. i veri allievi consacrati unicamente al Judo.
Per ottenere una buona disciplina, furono istituite anche delle regole:
indossare, dal mattino alla sera, la hakama
recarsi alla porta all’entrata o all’uscita dei Maestri
salutare con il cerimoniale gli ospiti che lasciano il dojo
pulizia obbligatoria del locale ogni mattina
spiegare il motivo prima di uscire
avvertire del ritorno
rispettare le ore per la sveglia e per andare a dormire (i malati sono provvisoriamente dispensati, potendosi svegliare dopo le cinque e potendo andare a letto prima delle dieci)
ad ore prefissate, gli allievi devono riunirsi per salutare il Maestro
spegnere fuoco e luce prima di andare a letto
Nel corso dell’anno, vi erano degli eventi che venivano rigorosamente rispettati. I principali erano:
La cerimonia di Capodanno
Gli allievi che vivevano con Kano si alzavano prima dello spuntare del giorno, lavavano la casa, esprimevano le loro speranze per il nuovo anno al Maestro e bevevano del Toso (una specie di sake)
La cerimonia di Kagami-biraki
Ogni allievo del Kodokan offriva un kagamimochi (dolce di riso) ed esprimevano la loro gratitudine al Maestro Kano.
“Kanchu-geiko”
Si praticava Judo nella stagione più fredda, per trenta giorni, per quattro o sei ore della mattina. Il Sochu-geiko (che viene praticato un po’ più tardi, d’estate), aveva lo scopo di coltivare lo spirito di perseveranza e l’abitudine ad un duro lavoro.
“All’inizio, venivo proiettato talmente tanto che ero distrutto ed avevo appena la forza di tornare. A volte pensavo di abbandonare il Judo. Ma tra i miei compagni ce n’era uno della provincia di Nagato, più grande di me, che mi aveva detto che un uomo che abbandona ciò che inizia non raggiungerà mai nulla nella vita.E mi incoraggiava, veniva a svegliarmi ogni mattina perchè andassi al Kodokan. Gli devo molto. Grazie a lui andai all’allenamento d’inverno, ma durante l’esercizio, per la fatica, mi irrigidivo e mi proiettavano con delle spazzate e se mi avvicinavo, venivo proiettato con un movimento di anche. Ero in uno stato pietoso. Ma ho fatto dei progressi considerevoli ad ogni Geiko d’inverno. Penso che sia anche un’ottimo metodo per formare il carattere ed il corpo.” (Iizuka)
Competizione mensile
Fu istituita con la triplice finalità di coltivare lo spirito competitivo, di fungere da test per misurare i progressi e di avere un mezzo materiale di guidare l’allievo in modo pratico e spingerlo ad un grado superiore (competizione che veniva interrotta in occasione di Kanchu e Shochu-geiko e nei mesi di maggio e ottobre da quando fu istituita la gara dei rossi e bianchi).
Competizione dei rossi e bianchi
Aveva lo scopo di favorire lo spirito del lavoro di squadra e di stimolare la capacità di ciascuno di modificare l’atteggiamento secondo le circostanze.
I partecipanti, divisi in due gruppi, dovevano guadagnare la vittoria per la propria squadra.
Dalla prima gara composta da pochi partecipanti (1883), con l’espansione del Judo, questo appuntamento vide fronteggiarsi, negli anni a seguire, squadre composte da centinaia di judoka.
Il dojo di Kanda
Kano sposta quindi il dojo nella sala da biliardo del palazzo di un principe (dojo di Kanda), troppo lontano perchè Iikubo possa recarvisi quotidianamente.
Nel febbraio 1883 riceve da quest’ultimo il certificato della Kyto-ryu ed eredita tutti gli scritti di questa scuola; Iikubo credeva in Jigoro Kano e vedeva in lui la possibilità che Kyto-ryu potesse svilupparsi. Nel 1886 Iikubo morirà.
La sua Scuola aveva assimilato il principio Ju, cedevolezza come adattabilità, ossia lo sfruttare l’energia di un attacco dell’avversario a proprio vantaggio (“La forza sta nel cedere”).
La pratica si basava su ran (libertà di pratica da cui ran-dori, ossia pratica libera con le prese), kata (Kito-ryu-no-kata) e sull’impianto teorico della dottrina cinese di Yin e Yang: Ki e to sono infatti innalzarsi ossia luce e cadere ossia ombra, le due polarità opposte.
A differenza della Tenshin-shin’yo-ryu (scuola civile) in cui l’energia vitale si estrinsecava nell’azione dopo essere stata precedentemente appresa ed allenata, nella Kito-ryu si sprigionava nell’azione e solo dopo poteva essere oggetto di studio: infatti un militare doveva prima agire e poi dall’esperienza dell’azione trarre anche gli insegnamenti interiori necessari per preparare sé e gli altri a future azioni.
Le tecniche consistevano nel gettare un avversario al suolo; erano considerate difficili dai capiscuola sia del Judo, Jigoro Kano, che del Aikido, Morihei Ueshiba, ed entrambi le studiarono a lungo prima di inserirle ciascuno nel suo nuovo metodo.
Una testimonianza della Kyto-ryu è contenuta nel Koshiki-no-kata, antico Kata di questa scuola che Kano volle mantenere.
Sempre assistito dal fedele Tomita, Kano, che ormai era un esperto, insegnò quanto aveva appreso in merito a Ju-jutsu; essendo le basi di due scuole profondamente diverse (Tenshin-shinyo e Kito), il suo metodo risultava dall’unione di entrambe, che si completavano a vicenda.
Non era tuttavia la sua meta ultima: non poteva considerare completo il suo apprendimento e continuò l’approfondimento del Ju-jutsu acquistando i libri segreti delle scuole (che in quel periodo si potevano trovare in vendita a prezzi bassi) e contattando altre scuole per scambiare idee e conoscenze.
Stava maturando una disciplina nuova che, pur ponendo le sue radici nella storia antica del Giappone, mirava l’apprendimento fisico ad uno scopo morale, sociale.
La reazione del Ju-jutsu
Nel 1886 il Kodokan, trasferitosi nella proprietà di Mr. Yajiro Shinagawa a Kudan Kami-fujimi-cho, contava oltre 100 iscritti, compreso Sakujiro Yokoyama, su 40 tatami (circa 80 m2).
In questi anni, il Kodokan non ebbe vita facile, dovendo far fronte alle reazioni negative delle scuole di Ju-jutsu.
I ju-jutsuka vedevano un esponente di quella classe che aveva allontanato il Ju-jutsu, insegnare Ju-jutsu alle ricche famiglie locali, supportato delle influenti conoscenze di politici e muovendosi in concorrenza alle altre scuole di Ju-jutsu.
Fu per merito di figure come Tomita, Saigo, Yamashita e Yokoyama che il Kodokan uscì vittorioso da alcuni Dojo Jaburi o Dojo Arashi (“distruggere il dojo” o “tempesta sul dojo”; antica usanza che permetteva ad una scuola di recarsi presso un altro dojo per sfidarne maestro e allievi; l’eventuale vittoria degli “ospiti” concedeva loro il diritto di distruggere le insegne del dojo perdente screditandolo).
Un giorno si presentarono tre uomini tutto muscoli, quasi deformi dalla massa di muscoli che ricopriva il loro corpo. Erano senz’altro praticanti di Ju-jutsu.
Kano non era presente e i tre iniziarono a scherzare lanciando frasi di cattivo gusto sul Maestro. Era loro intenzione sfidare in combattimento i migliori allievi. Erano presenti Tomita e Saigo. L’aria era pesante e iniziava a crescere un nervosismo generale.
Nonostante Tomita, non potendo loro battersi senza l’autorizzazione di Kano, insistesse nel richiamare Saigo, questi, più impulsivo, volle a tutti i costi combattere.
Matsugoro Okuda, uno dei Ju-jutsuka, iniziò a tirare violentemente Saigo a destra e sinistra che, di tutta risposta, non poneva nessuna resistenza, assecondando la forza dell’avversario e mantenendo sempre una perfetta posizione.
Matsugoro, con un urlo selvaggio, tentò Tai-otoshi, ma anche in questo caso Saigo riuscì ad eludere l’attacco, scatenando la collera dell’avversario.
Ancora strattonato da una parte e dall’altra, Saigo, con un movimento fulmineo riesce a proiettare Matsugoro con Koshi-nage. La stessa scena si ripete altre volte finchè Matsugoro, sfinito, non riesce più a rialzarsi.
Anche Yamashita, che nel frattempo arrivò con Yokoyama, ebbe un combattimento con gli altri due “ospiti”; il Kodokan trionfò con una brillante vittoria.
La notizia risuonò per tutti i quartieri e il nome di Saigo divenne quasi sinonimo di “essere sovrumano”, “fenomeno”; i ragazzini che giocavano per la strada si impettivano e dicevano “io sono Saigo del Kodokan”.
L’opinione pubblica pur riconoscendone i valori morali ed educativi, riservava dubbi sull’efficacia nella pratica e nel combattimento.
Il grande torneo
Il Kodokan con una squadra di nove combattenti (Saigo, Yokoyama, Yamashita, Honda, Iwanami, Sozo, Tobari, Tomita, Sato) ebbe la prima vittoria ufficiale nel 1886, nel torneo organizzato da Mishima, prefetto della Polizia Metropolitana di Tokyo, in cui si incontrarono le scuole di arti marziali più forti del momento.
Non era semplicemente un confronto tra scuole, ma un ben più profondo scontro filosofico: la secolare esperienza guerriera e l’efficacia in combattimento del Ju-jutsu si scontrava con la filosofia del contenuto morale del Judo.
Gli incontri non avevano limite di tempo, e lo scopo consisteva nel dimostrare fisicamente la propria superiorità, neutralizzando l’avversario o costringendolo alla resa.
Tomita e Yamashita uscirono vittoriosi dai rispettivi incontri. Yokoyama (che come Saigo, prima di approdare al Kodokan praticò Ju-jutsu) terminò l’incontro dopo 55′ con hikiwake, che nella mentalità del Ju-jutsu veniva considerato una scofitta.
L’ultimo incontro vide Shiro Saigo contro un allievo di Yoshin-ryu Totsuka-ha, una delle più famose scuole di Ju-jutsu: fu un incontro spettacolare che proclamò la supremazia di Saigo (nonostante la notevole differenza fisica) e del Kodokan.
“Alla grande dimostrazione della Prefettura di Polizia, Saigo combattè con Kochi, un vero gigante che praticava Ju-jutsu con Tozuka. Kochi tentava di imporsi su Saigo con la sua forza straordinaria. Saigo, di piccola taglia, era talmente agile e veloce che ne vanificò gli attacchi; riuscì a proiettare il suo gigantesco avversario con un Tachi-waza.
La reputazione di Kochi e la differenza di peso dei due combattenti resero la sua vittoria ancora più brillante.
In un altro incontro, Ichiro Munekata, furioso dell’insolenza del suo avversario, lo attaccò in Ne-waza così forte che non riuscì a rialzarsi, restando senza conoscenza.
L’incontro di Katsutaro Oda finì in parità; Hoken Iwasaki e Shizuya Iwanami meritarono anch’essi degli applausi.” (J. Kano)
a supremazia del Judo fu ufficialmente sancita, sia in merito all’aspetto tecnico, sia per i suoi principi e contenuti morali.
Yamashita Yoshikazu, Yokoyama Sakujiro, Tomita Tsunejiro e Shiro Saigo furono i migliori allievi del primo Kodokan, ricordati spesso come i ‘magnifici quattro’.
In seguito al torneo del 1886, Yamashita divenne il primo 10° dan, e morì a 71 anni; Yokoyama (che allenò Kyuzo Mifune) morì nel 1912. Tomita morì settantatreenne nel 1938 lasciando un figlio, Tsuneo, dal cui libro sul primo Kodokan e Shiro Saigo fu tratto il film ‘Judo Saga’ dall’esordiente Akira Kurosawa.
Saigo lasciò il Kodokan nel 1890 (per ragioni sconosciute) e fece il giornalista; mori nel 1923, all’età di 57 anni.
Il periodo d’oro del Judo
Il Judo Kodokan era estremamente efficace nel Nage-waza sfruttando squilibri e scelta di tempo.
Il Ju-jutsu rimase però competitivo nella lotta al suolo; Tanabé, riuscì a sconfiggere i campioni del Kodokan con il suo Ju-jutsu: era abile nel portarli a terra e, con una fulminea azione, a strangolarli.
Fu questo elemento che spinse Kano a migliorare il Judo a terra.
L’impegno sociale
Negli anni che seguirono, Kano continuò a lavorare per perfezionare il Judo Kodokan, affinchè fosse un efficace strumento educativo.
“Kano aveva una ferma speranza di fare comprendere a tutti i popoli lo spirito del Judo, e di contribuire con ciò, alla pace nel mondo.” (K. Takagi)
Fu infatti, parallelamente al Judo, costantemente impegnato sia nel campo dell’istruzione, sia dello sport e dell’educazione fisica.
“Necessariamente noi siamo creditori o debitori, nella vita sociale. Gli educatori sono mal pagati per quello che fanno. Se ciò che si riceve ha un valore inferiore al servizio reso, la società ci è debitrice; al contrario noi siamo debitori. Non siatelo mai! Anche in una situazione difficile, ricordate la dignità dell’insegnante.” (J. Kano)
Riportiamo, di seguito, le date più significative della sua carriera.
1882 insegna al liceo Gakusuinin
dal 1889 al 1891 visita l’Europa per studiare i metodi scolastici
1891 riceve la nomina a Consigliere del ministro della Pubblica Istruzione
1893 direttore della scuola normale superiore, poi segretario del ministro dell’Educazione Nazionale
1897 crea la società Zoshi-kai e fonda l’istituto Zenyo Seiki, Zenichi, ecc., per la cultura dei giovani; pubblica la rivista Kokusiai
1898 direttore dell’Educazione primaria
1899 presidente del Butokukai
1902 e 1905 inviato al ministero dell’Educazione nazionale cinese; fonda con la Cina un’associazione per lo scambio di studenti
1909 Il Kodokan è ente morale e Kano diviene membro del Comitato Internazionale Olimpico
1911 primo presidente della Federazione Sportiva nazionale
1912 e 1913 in Europa e America in missione culturale
1912 accompagna la prima delegazione giapponese alle Olimpiadi di Stoccolma
1920 assiste alle Olimpiadi di Anversa; visita l’Europa
1922 siede alla Camera Alta
1924 professore onorario della Scuola normale Superiore di Tokyo
1928 partecipa all’assemblea generale dei Giochi Olimpici e alle Olimpiadi
1932 assiste alle Olimpiadi negli Stati Uniti; diventa consigliere del gabinetto per l’Educazione fisica nazionale; partecipa al Consiglio dei Giochi Olimpici
1933 visita l’Europa (offre Tokyo come sede per le XII Olimpiadi)
1935 riceve il premio Asahi (Speciali Contributi a Causa dello Sport)
1936 assiste alle Olimpiadi di Berlino
“Molte scuole in quest’epoca (1888) insegnavano la morale basata sul Rongo (scritti di Cofucio) ma, lui (Kano, allora insegnante alla Peers’ School), al tempo, ci insegnava una morale più pratica che ci impressionava molto. […] Ci parlava a volte di Judo, ma non lo praticammo mai. […] Il Maestro Kano era molto scrupoloso in ogni cosa facesse. Era molto penetrante con gli uomini e scrutava il carattere di ciascuno. Molti gli devono una grande riconoscenza, specialmente sul piano educazionale.” (T. Oda)
La crescita del Judo in Giappone
Il Judo Kodokan si diffuse rapidamente in tutto il Paese: furono aperte sezioni staccate nei quartieri di Nirayama e Kojimaki, tra il 1887 e 1888.
Al Bu-sen di Kyoto, aveva sede il Butokukai, prestigiosa accademia militare che si occupava dell’educazione dei giovani del Giappone.
Nel 1888, in fase di ristrutturazione, una commissione di maestri di Ju-jutsu chiese a Kano una dimostrazione di Judo Kodokan; piacque per i principi contenuti, per le innovazioni apportate parallelamente al rispetto per le forme del passato.
Fu quindi affidato a Kano il compito di sostituire il Ju-jutsu nell’apposita sezione al Butokukai.
Kano, quale funzionario del Ministero dell’istruzione, affidò a maestri come Isogai, Nagaoka, Samoura, Tabata e Kurihara il compito di insegnare nella sezione del Butokukai, stendendo con loro un programma, perfezionando Randori-no-kata (introdotto nel Kodokan nel 1889) e mettendo a punto Kime-no-kata.
Nage-no-kata e una prima versione di Shobu-no-kata (poi Kime-no-kata) risalgono al 1884/85; in seguito fu formulato Ju-no-kata (o Yawara-no-kata) e nel 1886 Itsutsu-no-kata ,una prima stestura di Katame-no-kata con 10 tecniche e Go-no-kata (forma del vigore, dove Go è opposto di Ju) con 10 forme tecniche. Quest’ultimo (detto anche Go-ju-no-kata, in cui dovevano essere inseriti i principi circa il miglior momento per l’azione sfruttando la forza dell’avversario, in situazioni di contrapposizione di forze) venne abbandonato da Kano e poi mai ripreso.
Nel 25° anno di Meiji, fu aperta la sezione di Kumamoto, nel liceo Chinzei.
Kano nel frattempo continua lo studio per migliorare il suo metodo e, nel 1895, con i maestri Yokoyama, Yamashita, Nagaoka e Iitsuka stende il Gokyo-no-kaisetsu, documento che raccoglie le tecniche di proiezione secondo una progressione didattica.
Per questa stesura furono definite le tecniche, eliminando ulteriormente tecniche ritenute pericolose.
Neanche questo documento sarà definitivo: verrà rivisto e corretto nel corso dei successivi anni, fino all’ultima revisione del 1921 in occasione della dimostrazione (del 1922) all’Imperatore dove viene presentato il Judo Kodokan ormai perfezionato.
Di questa dimostrazione esiste un film che ritrae alcuni randori tra praticanti di diverso grado.
Il Judo completo nei mezzi e nei fini
In occasione di questa dimostrazione Kano dichiara il Judo Kodokan completo:
viene presentato il Go-kyo che comprendeva 40 tecniche di Nage-waza tra Tachi-waza (Ashi, Koshi e Te-waza) e Sutemi-waza (Ma e Yoko sutemi-waza)
Katame-waza (Osae, Shime e Kwansetsu-waza)
Atemi-waza (Ude e Ashi-ate)
i Kata (Ju-no-kata, Koshiki-no-kata, Itsutsu-no-kata, Kime-no-kata e Randori-no-kata che comprende Nage-no-kata e Katame-no-kata).
“Il Kodokan è nato il 15° anno dell’Epoca Meiji, a Kita-inari-cho di Shitaya. Dopodichè ci si è spostati. Il nome di Ju-jutsu ha fatto posto a quello di Judo. E’ certo che ciò che si insegna è già lontano dal Ju-jutsu di una volta e quando ci si pensa oggi, il Judo aveva ancora alcuni punti da correggere. L’aspetto tecnico ha raggiunto la perfezione verso il 20° anno Meiji. Il lato spirituale si sviluppa poco a poco. Le attuali teorie sono state adottate in occasione della creazione dell’Associazione culturale del Kodokan nell’ 11° anno Taisho (1922)” (J. Kano, ai membri del Kodokan, in occasione della festa per il 50° anniversario del la sua fondazione, 1932)
I praticanti sono suddivisi in livelli di esperienza, proprio per sottolineare una diversificazione nell’insegnamento (le tecniche che richiedono una maggiore attenzione come ad esempio Shime e Kwansetsu-waza vengono infatti insegnate solo da un certo livello in poi; questi ultimi, sanno che praticando con un judoka di livello inferiore dovranno avere una maggiore attenzione e non eseguiranno tali tecniche).
Kano inserì inoltre nel Judo Kodokan un rigido codice di comportamento: portatori di dan e, in genere, i praticanti di Judo, dovevano essere di esempio quali persone mature, oneste, di cui ci si potesse fidare.
Un comportamento immorale fuori dal dojo, nella vita privata, poteva comportare la sospensione o l’espulsione dal Kodokan, oltre a pregiudicare il passaggio da non portatore di dan (Mudansha) a portatore di dan (Yudansha).
“C’era un allievo ‘non portatore di dan’ reputato da molti di capacità paragonabile al 1° o addirittura al 2° dan sia nella tecnica che nella forza di proporzione, ma conosciuto d’altro canto come individuo dalla condotta poco raccomandabile. Un’indagine su queste dicerie rivelò una moralità alquanto disdicevole che non lasciava adito a un’eventuale correzione. Per questo la giuria non poté promuoverlo alla qualifica di dan ed egli rimase e tuttora rimane nella classifica dei ‘non portatori di dan’.” (J. Kano)
Il Butokukai e, qualche anno più tardi, del Ko-sen (l’associazione delle scuole professionali), assumono dimensioni tali da divenire rivali del Kodokan.
Nonostante ciò, il Kodokan si afferma in modo sempre più radicato, viene ufficialmente inserito nelle scuole divenendo voce costante nei programmi dei corsi, poiché risponde alla tendenza verso un ritorno alle arti marziali quali cultura di corpo e spirito.
Nel 1931 Kano pubblica Judo Kyohon, nel quale raccoglie articoli, appunti e pensieri del percorso di formazione del Judo.
Ad Atene nel 1934, fu chiesta a Kano una dimostrazione di Judo in uno stadio. Come uke scelse un imponente ufficiale che mostrava l’intenzione di effettuare un combattimento vero. Nonostante tutta la forza impiegata dal militare, Kano riuscì a proiettare il suo uke con Uki-goshi (“L’Uki-goshi di Kano fa sentire un leggero tocco all’addome e un attimo dopo il nostro corpo ricama l’aria. Si ha l’impressione di essere proiettati da una divinità!” – Mitsuyo Maeda) e Seoi-nage.
I giornali riportarono: La differenza di età e di forza era sorprendente. L’incontro tra il Professor Kano e il Tenente Leon appariva comico, e addirittura impossibile. Ma dopo un momento il vecchio e piccolo samurai proiettò l’avversario che pesava due volte tanto, minacciando di strangolarlo o di lussargli le articolazioni se non si fosse arreso. Il Sig. Kano ha dimostrato categoricamente in cosa consista il Judo.
Nel 1933, Kano con Sumyuki Otani e Masami Takasaki si diresse al congresso del Comitato Internazionale Olimpico di Vienna per proporre Tokyo come sede per le Olimpiadi. Kano voleva organizzare una Federazione Europea come base per una Federazione Internazionale.
“Abbiamo attraversato la Siberia. Sette giorni dopo aver lasciato la Manciuria siamo arrivati a Mosca, visitandone i musei, dove il Maestro, che aveva profonde conoscenze, ci commentava i dipinti. Avevo scoperto la sua passione per l’arte vedendolo eseguire un bel disegno con un sol colpo di pennello a Kumamoto.
A Vienna fummo impegnati in conferenze, dimostrazioni e interventi presso gli altri delegati, per far conoscere il Judo. Ammiravamo l’energia del Maestro e il suo eccellente appetito.
Ci raccomandava: ‘Anche camminando per strada lo stato di mu-shin non deve abbandonarci’. Come dire che il Judoista compie ogni gesto con attenzione.” (Sumyuki Otani)
Il 16 febbraio 1938 Kano si reca al Cairo per assistere al congresso del Comitato Internazionale Olimpico nel corso del quale era stata votata l’ammissione del Judo alle Olimpiadi (poi annullate a causa della guerra) e per ottenere che i giochi del ’40 si svolgessero a Tokyo (annunciò subito la notizia via radio dal Cairo).
Il 23 aprile si imbarcò sulla Hikawa-maru, ma, colpito da una polmonite, morì, durante il viaggio il 4 maggio.
“Per tutto il tempo in cui fu malato dormiva tranquillamente senza lamentarsi. Accettava le cure e le iniezioni. Nonostante la febbre violenta non smise di pensare alle Olimpiadi e conferiva quotidianamente per telegrafo col Comitato Promotore. La sua energia spirituale suscitò tutta la mia ammirazione quando disse all’infermiere: ‘Sono pieno di coraggio, sento di poter resistere a tutte le sofferenze del mondo’.” (Harumaru Ginnai)
Il suo corpo riposa nel cimitero Hacciu (dipartimento di Chuiba).
Nei ricordi di chi ebbe la possibilità di conoscerlo, Kano ha l’immagine di un uomo sempre interessato al cambiamento, instancabile, animato da quella volontà e forza d’animo che lo hanno portato ad andare sempre oltre, alla ricerca del continuo miglioramento.
“Quando pensava ad una tecnica, la provava immediatamente sulla prima persona che si trovava vicino, anche in piena notte. Si spostava continuamente da una regione all’altra del Giappone per divulgare il Judo.
Aveva l’energia di un “super-uomo” e perseguiva la sua stupefacente attività anche quando divenne anziano, nella spiegazione e dimostrazione delle tecniche e nei viaggi. Se mai qualcuno gli diceva voi siete stanco, rispondeva: Kano Jigoro non può permettersi di essere stanco!” (T. Oda)
In Giappone e nel mondo
Il Judo si diffuse sempre più ed il Kodokan aumentò gli iscritti di anno in anno, raddoppiando le dimensioni del dojo ad ogni trasferimento: dai 12 tatami del 1882, passò ai 40 del 1886, ai 107 del 1893, ai 207 del 1906, ai 500 del 1933, ai 1000 del 58, …
Molti abili Judoka iniziarono a diffondere il Judo nel mondo: Mikonosuke Kawaishi (dal Bu-sen) si stabilì in Francia, Yamashita negli Stati Uniti.
Nel 1952 Sumiyuki Kotani allenò il primo team di americani dell’Air Force al Kodokan; questo team darà vita alla United States Judo Association che divulgherà il Judo in America.
Nel 1889 a Yokohama, undici marinai italiani ottenevano lo shodan e nel 1905 due ufficiali presentarono il Judo ai reali.
La prima organizzazione italiana di Judo nasce per opera di Carlo Oletti nel 1921 che organizzò il Gruppo Autonomo Lotta Giapponese con un campionato italiano svoltosi nel 1923, 24 e 25. Campionati interrotti dall’ingresso del Judo nel CONI fino al ’48 quando la Polizia ne richiese la riorganizzazione come sport di lotta.
Più recentemente furono Ichiro Abe e Michigami a recarsi in Francia e Tadashi Koike, Otani e Takata in Italia.
In Inghilterra, il Judo fu introdotto da Gunji Koizumi (della Kito-ryu passato poi al Judo Kodokan) che fondò il London Budokway dove insegnò con Yukio Tani per alcuni anni.
I principi del Judo Kodokan
L’approccio di Kano con le arti marziali fu dettato dalla volontà di migliorarsi fisicamente. Egli riteneva che il Ju-jutsu, oltre ad assolvere a questa necessità, potesse tramandargli i segreti dell’attacco e della difesa dei valorosi guerrieri del passato nipponico.
In pochi anni Kano riscontrò un netto miglioramento dal punto di vista fisico, si irrobustì, acquistò autocontrollo, abbandonò l’irascibile carattere dell’adolescenza, e migliorò anche da un punto di vista spirituale.
Fu questo risultato inatteso che indusse Kano ad approfondire i suoi studi, approdando alla convinzione che tali benefici dovessero essere divulgati.
Egli si addentrò nel sapere di ogni scuola, per scoprire il significato profondo, il messaggio, l’educazione che, attraverso la pratica di una disciplina di combattimento, potesse essere fornita allo spirito dei praticanti.
Volle mettere a punto un metodo di attacco e difesa, rispettoso della tradizione, ma tale da risultare realmente utile alla società, di profondo e benefico valore.
Il Judo doveva fornire un’educazione superiore per mezzo di un principio universale che investisse tutti gli uomini e tutti gli aspetti della vita di ciascuno.
“Nel periodo feudale in Giappone esistevano molte tecniche di combattimento come la scherma, il tiro con l’arco, l’uso della lancia, ecc.
Tra queste ve n’era una chiamata Ju-jutsu e talvolta anche Taijutsu o Yawara. Si trattava di una pratica composita comprendente diversi modi di attacco, per esempio: proiezioni, colpi, calci, attacchi col coltello, soffocamenti, immobilizzazioni a terra, torsioni di braccia e gambe che causavano dolore e perfino frattura, così come una grande varietà di difese contro questi attacchi.
Tutto ciò esisteva in Giappone fin da tempi remoti, ma fu solo circa 350 anni fa che tutto questo fu insegnato come un sistema. Durante l’era Tokugawa (1615-1867) esso diventò un’arte elaborata, insegnata da un gran numero di Maestri che rappresentavano scuole diverse.
Io imparai quest’arte da eminenti Maestri del tardo periodo feudale ancora viventi durante la mia giovinezza. L’istruzione da loro impartitami era di grande valore, in quanto era il risultato di una profonda ricerca e di una lunga esperienza. Ciò nonostante tale istruzione non era concepita come applicazione di un principio universale, ma semplicemente come una serie di accorgimenti dei singoli Maestri; perciò, quando trovavo differenze nei loro insegnamenti, non mi riusciva di capire quale fosse il più corretto.
Intrapresi allora uno studio personale, convincendomi alla fine che qualsiasi fosse l’obiettivo, colpire il bersaglio o proiettare l’avversario in questa o quella maniera, ci doveva essere un principio universale governante tutti gli aspetti e che questo principio fosse il più efficiente uso dell’energia fisica e mentale diretta al raggiungimento di un preciso scopo o proposito.
Avendo sviluppato questo principio fondamentale, revisionati i metodi di attacco e difesa contemporanei di cui ero venuto a conoscenza, mettendo alla prova il loro valore alla luce di questo principio.” (J. Kano)
Kano presentò il Judo come un risultato di tre diversi livelli: al grado inferiore l’aspetto prettamente pratico quali l’attacco e la difesa, di grado intermedio il potenziamento fisico e psichico ottenuto tramite la pratica e quello superiore che studia come porre l’energia al servizio degli altri.
Un uomo che sviluppasse i primi due livelli ma non il terzo, vivrebbe invano se non indirizzasse i suoi sforzi, il suo sapere verso il bene comune.La pratica
Il Ju-jutsu studiato da Kano, si fondava sul principio Yawara inteso come assecondare, ossia unire la propria forza a quella dell’avversario, convogliandole nella medesima direzione.
Ne risultava una forza di intensità superiore alle singole, che permetteva anche ad un debole di battere avversari più forti sfruttando la loro stessa forza.
Il Ju-jutsu raccoglieva il nobile sapere dei guerrieri anche se, come già detto, alla fine del XIX secolo i suoi contenuti filosofici erano stati prevaricati dall’aspetto puramente fisico indirizzato, il più delle volte, alla rissa da strada.
Kano riprese il principio Yawara del Ju-jutsu e lo inserì in una disciplina che riprendeva l’aspetto più nobile delle antiche discipline.
Yawara non è solo un metodo di impiego della forza; è questa solo l’essenza di tale principio, ossia il suo aspetto più palese e immediato; tuttavia non si può definire esaustivo di tutti le componenti del principio.
Bisogna infatti leggere ‘il migliore impiego dell’energia volto ad ottenere il risultato’.
È così che si investe sia l’aspetto pratico sia quello spirituale, in ogni situazione, per ricercare il migliore risultato impiegando al meglio corpo e mente.
La pratica del Judo comprende tecniche di Katame-waza, Atemi-waza e Nage-waza. Kano raccomandò che l’insegnamento iniziasse da quest’ultimo innanzitutto per la sua maggiore difficoltà di comprensione, ma anche perché è l’aspetto più invitante e piacevole, meglio degli altri in grado di trasmettere il principio Yawara.
“Tutti siamo consapevoli delle sensazioni piacevoli trasmesse ai nervi ed ai muscoli attraverso l’esercizio, così come proviamo piacere nel raggiungere abilità o i risultati di gara. Ma oltre a questi piaceri esiste quell’amore e quella delizia della bellezza derivante dall’assumere posizioni armoniose e dal compiere movimenti aggraziati, così come nel vedere ed apprezzare queste qualità negli altri. L’allenamento di queste qualità, insieme al piacere ricavato dall’assistere a movimenti armoniosi simbolizzanti diverse idee, costituisce quello che noi chiamiamo ill lato emotivo o estetico del Judo.” (J. Kano)
La tecnica di nage, presuppone una rottura di posizione dell’avversario ed un conseguente adattamento del proprio corpo, tale da permettere di eseguire ampie proiezioni con il minimo sforzo.
Il migliore impiego dell’energia si traduce quindi nello sfruttare al meglio l’opportunità che viene offerta, che sia una posizione, un movimento, un attacco dell’avversario; è ciò che Kano spiega con Nage-no-kata.
Per cui sarà migliore impiego dell’energia mantenere una posizione che permetta l’attenzione a questo momento, non essere rigidi nelle prese, nel corpo, negli spostamenti.
Sei-ryoku-zen-yo è anche una corretta ‘rottura di caduta’, cioè il metodo che permette di affrontare proiezioni anche violente senza nessun rischio di danni al fisico.
Comprendendo questo aspetto, diviene possibile affrontare un combattimento senza il timore di cadere, potendo, a mente serena far proprie sempre meglio le caratteristiche di una tecnica.
Lo stato mentale
Una corretta pratica di Judo, prevede l’impiego al meglio di corpo e mente. La pratica di Judo porta infatti a modellare lo stato mentale.
“L’esercizio delle capacità di immaginazione, ragionamento e giudizio è indispensabile per escogitare modi atti a sconfiggere l’avversario e tali capacità si sviluppano in modo naturale nel Randori.” (J. Kano)
Deve quindi esservi una perfetta sintonia nell’uso della mente e del corpo.
Con la pratica si raggiunge la coscienza del ‘distaccarsi da se’, ossia liberi da timori e desideri, i praticanti ricercano le tecniche con la massima convinzione e determinazione, applicando efficacemente una rottura di posizione dell’avversario e/o sfruttando le diverse opportunità che l’avversario offre.
“Ci sono persone talvolta molto irritabili e disposte ad arrabbiarsi per motivi futili. Ma una volta giunti alla conclusione che arrabbiarsi è un inutile spreco di energia e non porta alcun beneficio, essendo di danno a se stessi e agli altri, si vedrà come gli studenti di Judo debbano necessariamente astenersi da tale condotta. Talvolta si è scoraggiati o malinconici a vausa di insoddisfazioni e non si ha motivazione a lavorare. In tali casi il Judo consiglia di scoprire la cosa migliore da fare esaminando le circostanze. Una persona in questo stato è, secondo me, nella stessa situazione di un’altra all’apice del successo. In entrambi i casi c’è una sola strada da seguire, la strada che, dopo opportune considerazioni, si giudica essere la migliore per quel momento. Si può dire così che l’insegnamento del Judo è in grado di trasportare l’individuo fuori dagli abissi della disillusione e dell’apatia verso uno stato di vigorosa attività con grandi speranze per il futuro.
Lo stesso ragionamento si può applicare alle persone che si sentono infelici. Costoro sono spesso di cattivo umore e incolpano gli altri per quello che dipende da loro stessi invece di badare alle loro azioni. L’insegnamento del Judo può far loro capire che tale atteggiamento contrasta con il principio della massima efficenza e li porterà a comprendere che conformandosi fedelmente a questo principio potranno diventare più felici. In tutti questi modi l’insegnamento del Judo può essere utile e promuovere una condotta morale” (J. Kano)
Fu proprio uno dei risultati inattesi di Kano, l’autocontrollo che consolidò con la pratica di Ju-jutsu, a fargli abbandonare l’irascibilità che in gioventù caratterizzava il suo carattere.
Si rese conto che lo stato di distacco che permette di valutare in modo puro e sincero le diverse situazioni poteva diventare un pregio di grande utilità anche nei rapporti sociali.
“Ero molto contento e fiero del mio 3°dan, avevo 22 anni, età in cui si è ambiziosi. Non è perchè ho vinto che parlo in questo modo, ma il Ju-jutsu di Nakamura era ‘di forza’. Probabilmente era un uomo estremamente buono e onesto, ma, proprio a causa di ciò, si irritò più facilmente. Questo stato psicologico mi ha dato la possibilità di attaccarlo con successo”. (Tomita)
Questo aspetto è propulsore di un risultato di dimensioni ben superiori.
Il fine ultimo del Judo, è di avere un ruolo positivo nella società, ed è proprio da tale principio che persegue il suo scopo: il concetto del migliore impiego dell’energia diviene parte del carattere, della personalità, manifestandosi in ogni aspetto della vita quotidiana, in cui l’uomo ricercherà il miglior impiego di sé al fine di ottenere un risultato che abbia un’utilità per la società.
Col Judo Kodokan, Kano fornì alla società un prodotto di qualità superiore nel quale racchiuse solo gli aspetti più nobili della lotta, in grado di tramandare dei profondi principi.
“Ricordo le massime usuali impiegate dal Maestro, che ho compreso con l’età e che sempre assaporo come se fossero un raffinato sake:
· Sei-ryoku-zenyo (utilizzare efficacemente l’energia)
· Jita-kyoei (reciproche concessioni)
· Judo-seisho (la correttezza conduce alla vittoria)
· Sojo-shoei (aiutare e concedersi)
· Shin-shin-jizai (agilità nel corpo e nel cuore)
· Seiki-ekisei (progredire per aiutare)
· Chikara-hittitsu (il giusto sforzo ripaga)
Il Maestro Kano insisteva sull’importanza dell’aiuto reciproco e delle mutue concessioni, sottolineando la necessità dell’educazione fisica come accesso all’azione pratica: ‘Per quanto si abbia dignità e valori nobili, essi resteranno teoria se non li si traduce in gesto’.
E i primi Maestri insistevano sempre: ‘Praticare, praticare ancora e poi riflettere e coordinare lo spirito, questo è il modo di progredire’.” (Sobei Okinaka)
E’ questa meta, questa ricerca costante a fornire un efficace esercizio fisico e un valido strumento per migliorare a livello mentale; tutto ciò fa del Judo uno strumento di educazione superiore.
L’attenzione che Kano riserva al benessere di ogni individuo e della comunità è riflessa nei quattro metodi di insegnamento che lui alternava: Randori (esercizio libero in cui l’allievo mette in pratica le tecniche imparate), Kata (ossia l’esecuzione delle forme prestabilite), Ko (le sue lezioni) e Mondo (momenti dedicati a domande e risposte).
Do
In una conferenza all’università della California del Sud, in merito ai Contributi del Judo all’educazione, Kano spiegò la differenza di principi tra Judo e Ju-jutsu, cioè il passaggio da tecnica a Via.
“Ciò che io insegno non è il Ju-jutsu, è il Judo. ‘Ju’ significa dolcezza, cedevolezza; ‘Jutsu’ è una tecnica, una pratica. Ma ‘Do’ è una via, una regola. Di conseguenza il Ju-jutsu è una tecnica basata sul rilassamento o una pratica di diversi metodi che hanno la finalità di permettere di vincere sull’avversario dopo averlo inizialmente assecondato. Al contrario, il Judo è una via, un principio per vincere.
[…] Se si utilizza il principio nel miglioramento fisico, il corpo acquista forza e salute: è un allenamento corporale. Se lo si utilizza nel miglioramento psicologico o morale, diviene un allenamento mentale. Se viene applicato all’alimentazione, ai rapporti sociali, il principio diviene una via per la vita, un allenamento per la vita stessa. Ho dato il nome Judo a questo principio perchè possa essere applicato in ogni campo. Judo è una via di allenamento fisico e mentale, e, allo stesso tempo, un modo di vivere valido anche nel lavoro.”
Do è intesa proprio come Via che, percorsa praticando l’attacco e la difesa, porta ad una condizione interiore superiore, in grado di rendere un contributo positivo alla società.