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Intervista a Marco Marzagalli, Maestro di Judo – VI° dan Hanshi

Abbiamo chiesto qualche riflessione tratta dalla sua esperienza a Marco Marzagalli, uno degli insegnanti storici della nostra Associazione, oltre a essere tra i suoi soci fondatori.

Cosa ti ha spinto a diventare insegnante di Judo?

La passione per il Judo, il rendermi conto di come questa disciplina, lungi da essere solo uno sport o un’attività fisica, contenesse dei principi di vita pienamente condivisibili: il miglior impiego delle proprie energie, il rispetto dell’altro e l’idea che solo insieme si possa progredire. Da qui, da allievo, sono diventato aiuto istruttore, nel 1983 istruttore e nel 2004 maestro.

Cosa vorresti trasmettere attraverso la tua disciplina?

Il Judo insegna ad affrontare la realtà, sia interiore che esteriore. Insegna a rendersi conto dei propri limiti, delle proprie paure e a superarle, insegna a stare con gli altri in modo costruttivo, insegna che al proprio migliorarsi non c’è mai fine, per così arrivare al concetto di “dare per crescere e crescere per dare di più”, ovvero ad essere al servizio degli altri nella propria vita.

Noti differenze nelle motivazioni dei tuoi allievi di oggi rispetto a quelli di una volta? 

La principale differenza che noto è che in passato chi sceglieva il Judo sceglieva la disciplina in sé e la sua filosofia, mentre ora, specialmente in una città come Milano, piena di stimoli sia per i bambini che per i giovani, si sceglie il Judo come una tra le tante attività fisiche possibili tra cui scegliere, e non sempre c’è la stessa motivazione forte di fondo. 

Quando ho aperto La Comune tenevo lezione tutti i giorni ai bambini e tre volte alla settimana ai giovani e agli adulti, e nessuno veniva ad allenarsi solo una sola volta alla settimana. Io stesso sono cresciuto con 3 allenamenti settimanali più molti weekend e stage; ora, invece, la norma è la frequenza monosettimanale. Inoltre oggi noto una tendenza a voler vedere molti risultati in fretta, mentre il Judo richiede un grande impegno prima di vedere i risultati.


Dunque il cambiamento nella motivazione penso che sia legato in maniera più generale a un cambiamento nello stile di vita. Per fortuna, però, continua a esserci chi si appassiona davvero a questa disciplina e, anche se i numeri sono inferiori rispetto al passato, continua a esserci chi trova nel Judo un percorso di vita, piuttosto che
una disciplina sportiva tra le tante.

Come percepisci i tuoi allievi rispetto al mondo delle arti marziali?

In generale noto una diversa passione e una minore dedizione ma quando vedo che in qualcuno si accende “la scintilla” sono ancora più soddisfatto di essere riuscito a fare il mio lavoro, avendo fatto comprendere che praticare Judo non significa solo svolgere un’attività fisica, ma è un ricercare quell’unione fra la propria parte fisica (corpo), quella intellettiva (mente) e quella emotiva (cuore) che può condurre lontano.